Hebron la città morta

09 Luglio 2018

Hebron. 
Oggi mi sveglio con John, lui è pronto in un batti baleno e esce salutandomi, a me ci vuole prima la connessione tra neuroni e capire i perchè dell'esistenza della sveglia mattutina. 
Con i due ragazzi ieri ci siamo scambiati le mail dopo la bella serata insieme. 

Velocemente sono fuori dal centro anche io senza perder tempo e con solo 1,5 litri di acqua in pancia a mo di colazione, mi avvio su Hebron Road e una volta arrivato al ristorante di ieri sera, mi chiama un ragazzo in camicia verde fermo con il suo taxi sul marciapiede. 
Inizia a offrirmi i suoi servigi, rifiuto e chiedo solo di andare al muro, punto. Mi chiede 15 NIS, troppi ma accetto; poca voglia di camminare, soprattutto col mio zaino ormai pieno di saponette... 

Una volta nell'auto riprende a spiegarmi che poco lontano c'è la tomba di Erode e può portarmi; rispondo che vado a Hebron e dice che può portarmi lui per 50€, andata visita breve guida e tutte le attese che voglio con rientro a Betlemme. 
No. 
Alla fine cedo e accetto di farmi scortare nella città più calda della Cisgiordania. 
Mi faccio portare all'hotel The Walled Off, dove visitai la mostra di fronte al muro. 
Mi aspetta 1 ora mentre io visito il muro per buona parte della sua lunghezza, fino al check point. 
Dal muro, pieno ovunque di graffiti, spuntano miriadi di telecamere e grossi fari sempre accesi puntati sulle abitazioni arabe poco distanti, qualche metro. 
Noto case abbandonate per l'impossibilità di vivere a due metri da un muro con un faro puntato in casa 24 ore al giorno.
Osservo e scambio due parole con i tassisti del parcheggio appena fuori il serpente di cemento.
Mi spiegano dove sono, da li si passa a Gerusalemme a piedi, un po' più su ci si passa in auto, ma attenzione solo targa israeliana e appunto residente nella Città Santa oppure con permessi speciali. 

Ritorno indietro all'hotel dove ho lasciato lo zaino e mi siedo a prendere un caffè (8 NIS). 

Puntuale alle 11.30 esco dalla struttura e trovo Fouad il mio autista che mi scarrozzerà più a sud. 

A Hebron la situazione è calda, gli israeliani escono da scuola e con mitra vanno alla ricerca del palestinese

Ci sono giorni che escono da scuola e vanno a caccia di palestinesi... cosi per ammazzare il tempo... il loro bullismo. 
Si possono vedere scritte sui muri che inneggiano alle camere a gas per gli arabi. 

Fouad M.A. Jebrein mi spiega un po' la situazione mentre passiamo tra incroci con a ogni punto cardinali un giovane milite sotto una pensilina stile fermata del bus con il fucile mitragliatore perennemente puntato verso il centro della rotatoria stradale; torrette d'avvistamento qua e la posizionate, in quello che dovrebbe essere territorio palestinese. 
Fouad mangia misuak, una specie di liquirizia; mi mostra una colonia e mi dice che li ci viveva il nonno, che fu cacciato. 
27 colonie illegali accerchiano la città di Betlemme. Ventisette!!!
Più o meno grandi ma tutte illegali per la comunità internazionale. 

Vedo un villaggio palestinese recintato e con la classica torretta posta di fronte alla strada d'ingresso, grossi fari puntati accesi giorno e notte. 


Entriamo ad Hebron, la città dei patriarchi. Contesa perchè qui riposano Abramo, sua moglie Sara e i loro figli, tra cui Isacco. 
Per gli ebrei è il secondo posto più sacro al mondo. 

Entriamo dal suq e vedo solo uno sparuto gruppo di negozi aperti qua e la. 
Giriamo a sinistra e ci dirigiamo verso la tomba dei patriarchi, divisa in due, ebrei e mussulmani. 
Primo check point, tornelli e metal detector, ci passo e suona, una giovane militare mi chiede delle cose in un inglese incomprensibile, forse troppo british per me. 
Mostro il passaporto e mi fa passare dicendo qualcosa del tipo "si si passa passa no problem" con aria di sufficienza, come a dire sei un cazzone europeo. 
Il mio driver invece viene fermato e gli fanno togliere scarpe, cintura dei pantaloni, svuotare tasche etc. 


Ci incamminiamo in mezzo a gruppi di militari israeliani, sembra di essere in un film.
Arrivati ad un punto, dinanzi a un giovanissimo militare senza ancora barba e pieno di acne, Fouad mi dice che devo proseguire da solo per quella parte israeliana e lui mi aspetterà qui. 
Mi incammino in una strada vuota e desolata, case abbandonate e distrutte con dentro solo immondizia e pezzi di muri crollati. 
Non c'è anima viva, si sente solo il muezzin dal lato arabo che richiama alla preghiera. 




Poco più avanti un cimitero ebreo, su un tetto basso almeno quattro militare armati ad osservare, sotto di loro adunati un folto gruppo di giovani israeliani, degli autobus e un fiume di giovani che scende da una strada di fronte a me. 
La situazione è apparentemente calma, ma un po' di tensione si palpa, sarà per questi giovanotti dell'età di mio fratello che vanno a scuola con i fucili mk in quel clima di far west dove non passa nemmeno un gatto.
Giovani Israeliani che vanno all'università, vanno in biblioteca o a prendere un caffè con il fucile mitragliatore a tracollo, storie di una normale giornata a Hebron. 
Vado incontro a questa folla fino ad un punto, militari ovunque, sembra ci siano solo loro. Chiedo a uno di loro, alto, bello, sorridente e con l'acne giovanile, dove posso prendere da mangiare o un caffè, mi dice che dovrei tornare indietro alle macchinette automatiche dove ci sono altri suoi colleghi, che più avanti non c'è nulla di interessante da vedere, solo case. 

Un militare prova a prendere una bibita...

Ritorno da Fouad, che intanto era li ad attendere il mio ritorno. 
Entriamo in un negozio palestinese di suoi amici posto di fronte al tempio e mi siedo a farmi offrire un caffè. 

Inizia la visita. 
Il mio amico palestinese mi spiega che a sinistra c'è l'ingresso alla moschea, dive andremo dopo, e a destra quello israeliano dove devo andarci da solo. 
Passo in mezzo a militari e qualche visitatore e arrivo al check d'ingresso stile aeroporto. 

Suona nuovamente anche qui. 
Mi viene chiesto, con tutta la naturalezza del mondo, se porto una pistola. 
Un po' come quando suona un metal in Italia e la prima domanda è "giovane hai tolto la cinta? La catenella?"; 
Beh qui con quella naturalezza ti chiedono della pistola. Credo che l'espressione che fa il mio viso, accompagnata al no ripetuto varie volte con tono a sottolineare quella che per me è un'assurda domanda, ma che purtroppo qui non lo è, dica tutto. 

Mentre salgo delle scale per entrare passo in mezzo solo a militari, donne e uomini, giovani, giovanissimi, a tratti stufi. Vestiti da guerra sotto un caldo che ammazzerebbe un cammello. 

Dentro l'aria è mistica, una grande biblioteca, dei pc, poi dentro al luogo sacro si apre una sinagoga e vicino a delle finestre che affacciano ognuna su una tomba, si fermano a pregare (stile muro del pianto) con libri sacri. 
È pieno di ragazzi qui dentro. 
Delle scritte in città, lato israeliano, spiegano che Hebron era la città di Davide e parte della terra d'Israele, che nel 1929 fu distutta dagli arabi e nel 1967 liberata da israele. 

Una volta fuori con Fouad entro nella parte palestinese del tempio, la moschea. Altro check anche qui. 
Parliamo di tre check point a distanza di 20 metri l'uno dall'altro. 

Solita routine, io entro più facilmente col mio passaporto italiano, il mio compagno di escursione meno.
Ho i pantaloni corti e un tizio mi ferma, mi da una specie di gonna lunga e mi dice che entro solo con quella. Cosi faccio. 
Beviamo acqua, ci laviamo le mani e togliamo le scarpe. 

La prima tomba sacra è quella di Sara moglie di Abramo; dentro due tombe di Isacco e la sorella e qui nel mezzo il 25 febbraio del 1994 un medico colono, tale Baruch Goldstein, esce di casa, entra nel luogo sacro e senza proferire parola con il fucile mitragliatore di ordinanza uccide 29 persone e ne ferisce 300. 
Verrà linciato e ucciso da una folla inferocita. 
Questo episodio avvenne solo 7 mesi dopo l'accordo raggiunto a Washington da Ytzhak Rabin e Yasser Arafat. 
Ai tempi la moschea di Ibrahim, o tomba dei patriarchi, era un'unica cosa, vi si accedeva a turno. 

La tomba di Goldatein qui a Hebron è meta di pellegrinaggio dell'estrema destra israeliana, come lo era per Yigal Amir, l'assasino di Rabin il primo ministro israeliano. 


Incrocio gli sguardi di molti bambini a cui è stata rubata anche l'infanzia, uno di loro mi mette al polso un braccialetto con bandiera palestinese dicendomi che è un regalo per me (mi sdebiterò in seguito), questi stessi bambini che crescono nella paura e nell'odio. Qui capisco il dramma di Hebron. 

L'unica città che invece di essere circondata da colonie e essa stessa colonizzata, 800 coloni che tengono in scacco 200mila palestinese. La città vecchia ha un aspetto spettrale, negozi e botteghe chiusi, una città desolata, senza business non può esserci vita mi ripetono per strada. Tutto in nome di una fede che non accetta compromessi e che esclude l'altro da se. 
È un pugno nel ventre Hebron. 
Il rispetto non passa di qui, non basta sbarrare le strade e militarizzare il territorio; qui gli israeliani vivono sopra ai palestinesi nel serpentello di viuzze del suq, coperto in alto da reti metalliche e lamiere per difendersi dal lancio di rifiuti degli ebrei che hanno le loro case costruite sopra le stesse fondamenta del mercato arabo. 
Basta alzare gli occhi verso la continua rete per notare bottiglie, scatole, avanzi di cibo e anche di peggio. Qui il nemico non va solo combattuto ma va anche spregiato.


Qui i muri sorgono tra due case, basta girare un angolo del suq per trovarsi una strada sbarrata da cemento e filo spinato, ad isolare le due "fazioni" e soprattutto non permettere l'accesso ai palestinesi a Shuhada street, una volta  cuore del mercato e del traffico cittadino. 
A nulla serve la presenza del TIPH (te temporary international presence in Hebron) composta anche da 14 carabinieri italiani, che non possono intervenire ma solo monitorare la situazione e l'escalation di violenza e di occupazione.

Mi mostra il suo passaporto Fouad, è andato in Arabia Saudita no problem, 
è andato in Malesia no problem, 
è andato in Giordania no problem, 
è andato in India no problem, 
ma per una visita in ospedale a Geruslemme di un solo giorno dalle 9 del mattino alle 17, ha avuto una serie di complicazioni che stavano per fargli saltare l'appuntamento con il medico. 
Mi mostra tutto, anche il permesso di Israele per entrare a Gerusalemme arrivato sul filo fi lana. 

Con altri amici e la moglie volevano andare a Parigi, meta romantica, nel 2001; tutto pronto, valigie fatte, poi l'11 settembre e l'attacco alle torri gemelle rompe i loro piani, ci spiace ma gli arabi non vanno sugli aerei. 

Ripete spesso che lui sarebbe per una convivenza civile e pacifica perchè deve rispondere a Dio e Dio è pace e amore. 
Mi parla della sua famiglia, una moglie che ama e quattro figli, 2 maschi e 2 femminucce, ha la mia età Fouad è classe 1980, ripete "I love my family, I love my home"

Mi fermo a mettere qualcosa sotto i denti finalmente e lo faccio con un piatto di dolcetti i baklawa. 

Nel tragitto è d'obbligo la sosta alla tomba di Erode il Grande, Erodion, una cittadina posta dentro una montagna che sovrasta tutta la valle, si possono notare Betlemme, Gerusalemme e il mar morto. La visita non costa neanche poco per ciò che c'è da vedere (29 NIS), forse molto più interessante per degli archeologi. Comunque la magnificenza della struttura voluta dal tiranno fa la sua. 


Il rientro a Betlemme è ad Aida Camp, altro campo refugiati, famoso perchè a ridosso del famoso muro e dove nel 2004 da una torre un militare israeliano sparò au dei bambini che giocavano a palla per strada. La torre ora è inutilizzabile perchè data giustamente alle fiamme in risposta. All'ingresso di Aida una enorme chiave posta sopra una porta d'ingresso a forma di serratura, una bimba mi guarda incuriosita mentre chiedo una limonata (2 NIS), le regalo una caramellina presa all'hotel walled off, l'accetta e mi regala un sorrisone pieno di speranza e gratitudine... non per la caramella ma per la solidarietà, l'essere col cuore con loro, con lei che vive qualcosa che nemmeno vedendo da dentro si può capire a pieno. Intanto il mio driver ha tirato fuori il tappetino e prega, il tempo della mia limonata e siamo ai saluti. Mi molla al check point pedonale. 





"In my heart brother" mi dice, "free palestine" rispondo portando la mia mano al petto.

Entro nel lungo tunnel che conduce ai primi tornelli. Si passa il primo, poi il secondo. Due uomini che passano con me mi indicano. Io sono sconcertato. 
Primo metal detector, tutto sotto al nastro e passo... mostro passaporto al gabbiotto e "it's ok", sono italiano. 
Una follia. 
Ma la follia è in chi ha inventato questa gabbia, che non basta, poi tornelli che si aprono e chiudono alla voglia del soldato, poi il controllo passaporti poi, ancora, metal detector e impronta digitale. Giù le cinture. È per la sicurezza. Telecamere osservano uomini e donne rassegnati, umiliati proprio nel loro pudore, eppure pieni di dignità. 








qSi arriva all'uscita...altro tornello stile metropolitana... nessun problema, si passa e ci si risistema. 
Una guardia, armata, sonnecchia stufa su una sedia. 
Usciamo e appena fuori un bus sta per partire verso la città vecchia di Gerusalemme, 4,7 NIS e in pochi minuti sono alla porta di Jaffa. 
Entro in città e faccio tutta la via del mercato indicatami da quel signore baffuto che mi aiutò la prima volta che andai a Nablus. Non riesco a trovarlo. 
Un succo menta e limone per abbattere la sete. 
Bello il Cardo di età bizantino-romana nel quartiere ebraico, vale la pena perderci del tempo. 



Raggiungo la porta di Damasco... parte una rissa che nemmeno nei migliori film americani. Il perchè non lo capisco e nemmeno mi interessa, ma mi trovo a mezzo metro quando partono pugni, vetri e tavole. Per poco non mi prendono in pieno. 
Arriva la polizia israeliana e si ferma a guardare, finchè si ammazzano tra di loro i palestinesi, che problema c'è?
Riparte il rissone per un ragazzo che all'improvviso tira qualcosa... rincorsi lui e quello che a parer mio è il padre, fin sotto la porta, ma li ci sono i militari israeliani che fanno da cordone e si ritorna alla calma tra turisti curiosi e spaventati. 

Ore 18.44 si parte da Nablus Road direzione Qalandia check point e infine ultima fermata del bus di Ramallah... tutto come qualche giorno fa!

Obiettivo tornare da Amjad per la notte e ripartire per Sheikh Hussein passando per Jenin. 
Al massimo mercoledì vorrei essere ad Amman, per iniziare quel tour che mi porterà a visitare finalmente il Mar Morto, Petra e il mitico Wadi Rum. 

Mi sveglio a Qualandia, questo enorme check è un crocevia importante oltre che assurdo nella sua logica, c'è un traffico pazzesco, come ogni giorno, per capirci il GRA di Roma è na passeggiata di salute. 
20 minuti dalla porta di Damasco a Qalandia e 11 minuti per passare il check, calcolando che non c'è controllo al bus, che esce bensì solo a chi entra, ci va anche di lusso. 

Due ragazze mi guardano furtivamente, una un po' più insistentemente... quando scendono buttano furtivamente l'ultima occhiata. 
Ultima fermata...scendo e mi dirigo alla stazione dei service... domando "bus for Nablus, please" me lo indicano... salgo dietro insieme a una giovane madre e una bimba di 4 anni all'incirca vestite all'occidentale... la bambina spesso si gira mi guarda e mi sorride, con quei suoi dentini ancora distaccati l'uno dagli altri. 
Davanti a me due coreane e un palestinese... si parte. Ancora Nablus. 




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