Ibdaa Center ... Deheisheh

08 Luglio 2018

Buon risveglio 
Qui 9.39... già fa caldo! 

Esco dalla camera, lascio lo zaino nel centro e vado fuori a fare colazione. C'è un chiosco che fa solo caffè, ne prendo uno e chiedo quanto pago, 10 shekel; rispondo che glieli do ma è troppo e non deve fare il furbo con me; diventano 6 shekel!
Mi siedo fuori vicino ad altre persone e un ragazzo col cappellino e i sandali, di chiaro aspettol internazionale, mi guarda e si presenta "italiano? Anche io". 
Con Paolo passo buona parte della giornata tra chiacchiere molto ma molto interessanti sulla situazione Palestinese, ma soprattutto su ciò che avviene e come si vive nella Striscia di Gaza. 
Lui ha 25 anni e sta girando un documentario a Gaza che vorrà presentare ad un non meglio specificato festival. Lui è a Deheisheh aspettando il permesso, che gli era scaduto, per rientrare nella striscia. Alloggia qui al centro Ibdaa e mi spiega cos'è: 
è stato fondato da Meri Calvelli di Follonica, che lavora da 30 anni in Palestina, tanto da esserne cittadina onoraria, con una ONG e ha vissuto il periodo di piombo fuso con Vittorio Arrigo, è inoltre membro della ONLUS Fotografi Senza Frontiere e del Centro italiano di scambio culturale Vik.

Scambiamo molte idee e sensazioni sulla causa palestinese e su quello che erroneamente viene chiamato conflitto, in quanto per essere definito tale ci vogliono due fazioni armate che si fanno guerra; qui c'è da un lato un esercito, israeliano, dall'altro un popolo con al massimo delle pietre, cacciato o imprigionato a casa sua. 

Mi parla molto di Meri e delle sue attività, mi racconta di Gaza, dove la situazione è insostenibile e non si entra se non invitati da una ONG e avendo qualcosa di giustificato da fare; lui stesso, Paolo, aspetta l'ok non solo degli israeliani. 

Mentre sorseggiamo il secondo caffè e mangiamo una delle famose, piccole e dolci banane di Gerico, mi spiega che a Gaza ci sono lungo il perimetro 45 kilómetri di muro e filo spinato dal lato entroterra, mentre dal lato Mediterraneo solo 6 miglia per la miriade di pescatori palestinesi, che a conti fatti diventano non più di 3 miglia. La situazione dal lato muro non va meglio, dal "confine" al campo coltivabile esiste una zona franca, in territorio palestinese sia chiaro, dove accedono i carro armati israeliani a loro piacimento, specialmente la notte per radere al suolo il coltivato dei residenti e rubare metri su metri territorio e spostare le enormi placche di muro; dice Paolo essere una zona in perenne lavori in corso! 
Fatto sta che tra pescatori e contadini il rischio di essere sparati, per aver oltrepassato un centimetro, e di conseguenza passare a miglior vita è ogni giorno probabile. 
Questa è la democrazia del figlio dell'America. 

Quei figli che ti chiedono da dove vieni, e quando glielo chiedi tu da dove vengono s'inalberano rispondendoti "da qui", occhio a ribattere dicendo "si ok, ma le tue origini?", a quel punto si infuriano!

Questo centro Ibdaa nel campo rifugiati di Deheisheh è una bella struttura di tre piani con camere di 4 o 6 letti a castello, una sala internet, una biblioteca, un bar/ristorante all'ultimo piano e in mezzo  un piccolo teatro per recite o conferenze; tutto è colorato e dipinto a tema palestinese, dalle pareti ai soffitti. 

La mattinata con questo giovane cinereporter è piacevolissima. Alcuni ragazzi si avvicinano incuriositi e iniziano a chiederci provenienza, nome ed età, tutto con il sottofondo di una musica con il volume tanto, troppo, elevato con cui ci allieta il nostro venditore di caffè, che non pago offre anche uno spettacolo fatto di ginnastica da strada. 



Arriva Bashar, 14 anni, saluta Paolo, si conoscono. 
Ha in mano le sigarette prese per suo padre, deve andare al forno per il pane. Ci invita con lui. 
Bashar è un ragazzino magro che abita il campo, con due occhioni azzurri e due gambuzze sottili, che escono da un pantaloncino e finiscono in scarpe da ginnastica più grandi di lui. 
Ha un sorriso speciale Bashar. 
Lo seguiamo, la fame ai fa sentire ed è ormai ora di pranzo. 
Piero vuole felafel e vuole portarmi da un suo amico nel mukhayyam, Bashar vorrebbe portarci dal cugino, c'è quasi una lotta a colpi di "tomorrow" e ci immergiamo nel campo seguiti da altri ragazzetti che salutano Paolo e mi danno il benvenuto. 
Senza dirlo si parla di calcio, mi chiedono se ci gioco e se so giocarci bene, sono già pronti a vedere le semifinali dei mondiali in Russia. 
Mahamoud è un ragazzino con capelli nerissimi spericolato, nonchè bravo, sullo skate; me ne da prova. 


Il mukhayyam è vivo, negozietti uno di fianco all'altro attorno alla piccola moschea, il barbiere, il market e un paio di stanze adibite a paninaro arabo. Entriamo dall'amico di Paolo, dopo aver rifiutato l'ennesimo cugino di Bashir. 
Ho bisogno del bagno e Bashir mi dice di seguirlo... mi fido... arriviamo dinanzi alla moschea, togliamo le scarpe e entriamo. Piano di sotto... bagni. 
Ci sono in fila cinque o sei rubinetti a metà altezza e di fronte un muretto a mo di seditoio, qui ci si lava mani e piedi prima di immergersi nel dialogo con Allah. Più avanti una porta bianca a vetri da l'accesso ai w.c., siamo scalzi e trovo dietro la porta svariati paia di ciabatte che servono proprio per recarsi nei piccoli bagni e servirsene in modo da non bagnarsi o sporcarsi i piedi. 

Il mio giovane amico mi attende prima di servirsene anche lui. Torniamo dai nostri amici, due panini con felafel e una spalmatina di hummus con qualche verdurina. Il pranzo è servito. 
Bashir e gli altri rifiutano i nostri inviti a pranzare ma ci fanno compagnia. 

Si parla di Gaza con i ragazzi del mukhayyam, sotto insegne e foto di martiri o di ragazzi in carcere per sempre. 
La gente di Gaza è immaginata estremamente povera e in perenne guerra. Certo che le dimostrazioni settimanali degli abitanti della striscia più famosa al mondo, che vivono col perenne sottofondo dei droni che sorvolano in continuo fotografando tutto e tutti, non hanno nulla a che vedere con ciò che viene chiamato con la parola "scontri". 
I palestinesi avvicinano il confine disarmati, con al massimo qualche giovane che ha della carta incendiata, che una volta lanciata fa si e no 5 metri e comunque ad un carro armato farebbe neanche il solletico. 
La risposta di Israele spesso e volentieri è violenta, fortemente repressiva. 

Ancora una volta mi sveglio senza ne progetti ne intenzioni e la giornata prende una piega inaspettata e positiva, si aprono altri scenari e altre, importanti,  conoscenze...inaspettatamente. 

Due calci ad un pallone con dei ragazzini del campo e rientriamo al centro Ibdaa a riposare dalla forte calura. 
In silenzio e su comodi divanetti all'ultimo piano della struttura, io e Paolo, scriviamo. Richiama la nostra attenzione il rumore di fuochi d'artificio di giorno e clacson, che vanno avanti per un'ora. Chissà cosa si festeggia. 

Li osserviamo dalla finestra che affaccia sul mukhayyam. 

Sono le 16.00 quando Paolo mi invita a seguire un gruppo di ragazzi che balla, lui vuole riprenderli e inserirli nel suo lavoro attuale o futuro. 
Ma i giovani tardano ad arrivare. 

Intanto il caldo è appiccicoso. 

Esco per strada alla ricerca di due dolcini visti in mattinata e noto che i fuochi artificiali continuano e che le strade sono piene di auto con clacson festanti e ragazzi e ragazze fuori dai tettucci o dai finestrini... stile Italia quando la Nazionale vince una partita. 
Capiremo più avanti. Forse.

Sembra che nei territori palestinesi si viva solo di guerra e occupazione, mentre non viene presa affatto in considerazione la necessità che ha questo popolo di dialogare col mondo esterno e di condividere ma propria cultura. 
Tutta la società civile soffre l'impossibilità di confrontarsi e di spostarsi, crescendo in un ambiente chiuso. 

E proprio uno degli obiettivi del Centro Italiano di Scambio Culturale Vik è far uscire i giovani da Gaza verso il mondo, in particolare l'Italia, specialmente nei settori culturali e sportivi, per farli ritornare con un bagaglio notevole di conoscenza da condividere con chi rimane. 

I quattro ragazzini arrivano con i loro strumenti. Sono due maschietti e due femminucce con violino e percussioni, ci danno prova della loro arte mentre Piero riprende con videocamera e io mangio biscotti. 

Un bel giro, ancora a dialogare, per tutto il campo e constatiamo che i festeggiamenti stile Italia 90 continuano incessanti; c'è una confusione bestiale per strada, tra negozi che sparano musica ad alto volume, automobili che sfrecciano strombazzando con giovani ragazze che urlano sedute sui finestrini e fuochi d'artificio. Proseguirà questa caciara per molte ore ancora... cosa si festeggia? 
Udite udite, la fine della scuola, il diploma! 
Possano sta buon !!! 

Ci buttiamo nel centro Idbaa sulle poltroncine e riposare come la domenica insegna; entra un ragazzo stempiato con un ciuffo riccio, occhiali alla Hanry Potter, uno zaino e pantaloncini corti, John viene direttamente dall'Irlanda e alloggia per questa notte in camera con me. 

Si ferma con noi nella hall sui divani e iniziamo a dialogare, solite domande quasi di rito, 
come i chiami?
Da dove vieni?
Che ci fai qui? 
A chi appartien'? 

Tutto in rigoroso inglese quando John chiede se parliamo spagnolo. 
A metà discorso, Paoloo mi guarda e chiede se ho fame; John sta con noi e ci avviamo dove loro credono io sappia si possa mangiare non solo carne, Paolo vegetariano, e non felafel, perchè sempre Paolo (e non solo oserei dire) non ne può più. 
Camminiamo un po' parlando di varie cose e decidiamo per un ristorante tipico che mostra in bella vista polli allo spiedo, chiedo se John ne divide uno con me e alla risposta affermativa ci fiondiamo dentro. Per il giovane regista insalatine varie. 
Ormai si dialoga in un pout pourri di lingue, inglese, spagnolo, italiano e anche francese, giacchè Paolo ha madre francofona e John parla anche francese. 
La serata è piacevole e gira e gira si casca sempre a parlare di Palestina e si Gaza. 
Nel momento di pagare il conto io e John non vogliamo dividere per 3 perchè il nostro commensale ha mangiato giusto due verdurine; totale 82 NIS, ma non ne veniamo a capo su quanto costi il pollo e quanto le verdure, in un primo momento pollo 50 e verdure 20; Paolo paga e gli prendono 34, 30 verdure e 4 coca cola. Non ci troviamo e allora ci rispiegano la conta, pollo 40 e verdure 30!!! 
Ok ok 
Facciamo 82 diviso 3 e passa la paura. 
Quei momenti in cui la matematica é fortemente un'opinione. 



Per tagliare la testa al toro e uscire paga John anche per me, devo cambiare la banconota per dare i soldi ai miei compagni, di fronte notiamo una pasticceria araba, ci guardiamo soltanto senza parlare, 
kanafeh per tutti. (5 NIS)

Sulla strada del ritorno parliamo dell'Irlanda partendo dalla voglia di whisky, si passa a parlare di birre e del prezzo della Guinness in Dublino; affermo di preferire la Carlsberg e John di tutta risposta mi informa che per l'irlandese la bionda nominata é pipí. 
Tornando al whisky dico, scherzosamente, di preferirlo alla birra ma quello scozzese e allora il rosso irlandese afferma in un momento di bellissima ilaritá "ah ecco! Adesso capisco. A te piace proprio la piss". 

Proseguiamo e incontriamo i bambini del campo e partono giochi e foto. 
Insieme rientriamo al centro e proviamo a fare un po' di musica con tastiera, bonghetto e il tin whistle o pemperino, un flauto britannico. 
Mi passa più vita un campo rifugiati che altro. 

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