La Vita a Nablus

04 Luglio 2018

Questa notte non ho preso sonno facilmente e quando ci sono riuscito era già mattino in un colpo. 
Un risveglio sul grande trono... colpa dei felafel... credo di aver esagerato! 

Amjad alle 9.00 mi aspetta fuori insieme al suo amato narghilè, ma quanto fuma?!
Mi dice che entro cinque minuti andremo ad Askar e, passati i cinque minuti, mi dice che andró al campo con la figlia in taxi... belle cose! 

Arriva la figlia e si scendono le miriadi di scale del vicolo buio e triste, che la sera farebbe paura anche a Jack lo squartatore, e fermiamo il primo taxi con destino centro città... breve camminata e siamo nella stazione taxi sotto strada dove andai anche ieri. 
Solito omino con kefiah e solito tram tram... "Askar" diciamo... ci indica il taxi... una volta dentro specifichiamo "new Askar"... si parte in quattro, sempre pieno parte il taxi altrimenti si attende che si riempia. 
Seduti dietro con Taghreed, al suo fianco siede una signora che al momento di pagare le da le monete e la ragazza funge da tramite, io faccio lo stesso, 5 shekel in due, do la monetina alla giovane. 
Scende la signora e sale una ragazza che va al campo come noi. Alta, curata, con un taglio di occhi davvero particolare, uno sguardo sfuggente e il cellulare che le ruba tutta l'attenzione. Siamo preda degli smartphone a tutte le latitudini, l'unica cosa che ci rende uguali insieme alla morte...il rincoglionimento! 
Anche la giovane per pagare passa la moneta a Taghreed ci guardiamo e ridiamo; "it is your job?" le dico. 

Mi fermo al piccolo negozietto di fronte al centro e opto per uno yogurt, magari un po' di fermenti lattici mi aiuteranno. E poi ho bisogno di salviettine umidificate, che lavarsi è quasi un'impresa questi giorni. 
Ma sto yogurt fa letteralmente cagare... e io ho già dato in tal senso!!!
Più di metà non riesco. Vado dal custode tuttofare e gli chiedo un tea... presto fatto. 
Osservo le attività e mi gusto il tea. 

Ho capito che Amjad non è molto affidabile, oggi avremmo dovuto stilare un programma... lui è rimasto a Beit Al Sham. 
Boh! 
Ecco l'approssimazione di cui parlavo. 
Mi arrangerò da solo. 
Sempre più convinto di fare un tour per i territori. 

Mi avvicina Yahya, il ragazzino molesto che ieri mi ripeteva di continuo "fuck you Napoli" facendomi l'equivalente del loro dito mozzo, e mi saluta cordialmente... si è alzato di buona lena. Ripete "Barcelona ok" riferendosi alla squadra di calcio. 

Nel teatro regalato dal Giappone, come riporta la scritta posta all'ingresso, un gruppo fa canto e in una stanza adiacente i più piccini giocano in cerchio, tutto coordinato  dai giovani animatori del summer camp. 
È il momento merenda e arriva il kibez con hummus, la pagnotta di ieri. 
Amjad arriva in struttura intorno alle 11.00; io mi incanto a osservare una ragazza dallo sguardo timido e composto che scruta tutto sommessamente, ogni tanto abbassa gli occhi e fa esplodere un sorriso favoloso. 







Tutti disposti nel cortile i ragazzini divisi in gruppi lavoro posti in fila sotto la precisa visione di Faraj.
Un canto e si riprendono le attività, non vedo più i ragazzi internazionali di stamane, saranno andati via. 

Faraj è un ragazzo di due metri mastodontico, una corta barba nera, capelli ingellati tirati indietro stile hollywood, un naso appuntito e un braccio esagerato; Faraj fa così paura sia per la stazza che per il vocione quando urla, ma ha un cuore così buono che è adorato da tutti i ragazzi, che comunque ne hanno il giusto timore reverenziale. A volte ride pure. 

Parlo con un docente di inglese di Nablus e con lui e altri animatori giochiamo a volley per ammazzare la pausa. 
Nello stanzone al primo piano stanno imparando la dabka, la danza popolare palestinese. 


Mentre osservo e a tratti provo qualche passo mi avvicina Yumna, una ragazzina di 16 anni vestita all'occidentale e senza velo; parliamo in english e la comunicazione è buona perché lei è paziente e parla piano. 
Le domande che mi fa grosso modo sono le stesse di ogni giorno. 
Nel centro, come in città, i dialoghi sono fatti di gesti e di sorrisi. 

Alcuni volontari internazionali oggi finiscono e vanno via, per tanto vengono salutati e alle ragazze regalano un borsello palestinese. 
A una di loro, palestinese che vive a NYC, i giovani operatori dedicano balli e canti fino a farla commuovere. 
Il sorriso nel mukhayyam non manca mai. 

Sotto un sole cocente cerco l'ombra su una panchina del cortile e mi sdraio... mi addormento che è una meraviglia, ma la fame mi sveglia. "Taxi? In dawar, shukra."

15.24 Sandwich and meet in dawar (centro città). 


Sabato vorrei attraversare il ponte dei Rè. 

Giro un po' la zona vecchia nel mercato... mi fermo a Sheikh Qasem uno dei bar più antichi di Nablus, vanta oltre 100 anni. Dire spartano e fargli un complimento ma il tea è ottimo. È un enorme stanzone che affaccia in un cortile esterno con fontana, appunto, stile araba. Ci capiamo poco e allora uno dei proprietari corre a chiamare l'amico figo che parla inglese; tant'è che oltre al tea capiscono che vorrei della polvere di caffè da portare via.
Alle pareti noto la foto di Saddam Hussein. Mi ripetono di continuo di portare i miei amici in questo bar domani. "Yes tomorrow ok?"


Il tempo del tea e due chiacchiere e  i proprietari vogliono offrirmi fortemente il caffè; il tempo di risedermi a una sorta di bancone per berlo che arriva un loro amico molto corpulento, il quale inizia a elencare tutto ciò che ha alcool, birra, whisky etc, sottolineando che con la stazza che ho mi deve offrire qualcosa di forte non il caffè. Ovvia risposta più volte ripetuta dal barista: "aram!", è peccato, il suo cicciottello e sorridente amico lo apostrofa come "crazy", io me la rido. 
Ma una birra sinceramente ci starebbe bene sotto questo caldo, magari fredda, con le goccioline che scorrono lungo il collo della bottiglietta... meglio non pensarci e andare a tea e turkish coffe. 
Mentre sorseggio sto caldo e non proprio buono caffè, mi presentano tutti gli avventori del bar... ma proprio tutti. Ognuno fa come gli pare, e tutti lì con narghilè e tea; certo che l'uomo del sud del mondo è uguale dappertutto, al bar a fumare e bere caffè e non fare una ceppa. Sembra di stare a Malvaccaro, il mio rione d'infanzia.


Proseguo il mio vagabondare per le viuzze del souk. 
Cerco e trovo, li dinanzi a me, la pasticceria... non c'è bisogno di dire cosa faccio. 
Prima però di gustarmi un bel pezzo di knafeh, mi godo tutta la sua preparazione nel laboratorio di fronte. 
Il knafeh è il principe dei dolci palestinesi ed è originario proprio della città che mi ospita, Nablus, lo si trova a ogni angolo di strada; se c'è qualcosa qui che non manca mai a qualsiasi ora del giorno e della notte sono i falafel e il knafeh.
La preparazione artigianale a cui assisto è affascinante, ti catapulta in tempi lontani...e al lavoro ci sono due ragazzini! 



Di fronte la fabbrica "Albader", dove si fabbrica e vende ció per cui Nablus è famosa nel mondo...il sapone. 
Visito questo vecchio frantoio dove viene ancora oggi fatto il sapone solo con olio di oliva e me ne esco con svariate saponette... prezzo che non scriverò, perchè potrebbero leggerlo i destinatari del mio regalino palestino, però fidatevi...davvero un regalo! 





Continuo a perdermi nei vicoli della vecchia Nablus tra gentilezze, saluti e "benvenuto" in un'atmosfera piena di immagini di Yasser Arafat e dei martiri delle varie intifada, ragazzi morti per la causa palestinese, le cui immagini li raffigurano armati, sorridenti e con alle spalle Al-Qsa, la famosa moschea di Gerusalemme, e questo particolare he fa capire che sono passati a miglior vita. 





Mi fermo nel negozietto di uno scultore del legno di olivo e mi ci perdo dentro tra una nozione sul suo lavoro e la storia della onnipresente icona Handala, che nella via non mancano di notare sul mio avambraccio. 
Noto un popolo molto vivace e fiero, che si impegna e lavora e che mi fa capire che il grosso del problema è nei villaggi, ma Israele quando avrà finito di sostituire i paesini Palestinesi con i propri credo punterà alle città, e li assisteremo ad un altro scempio  cui farà seguito un silenzio assordante delle Nazioni Unite. 
Per ora qui a Nablus si vive come altrove. Macchine anche costose, negozi, shopping, bar, passeggio, cucina, take away piuttosto che ristoranti di fascia più alta, tra un auto di Medici senza Frontiere e un cancello di una scuola della U.N.R.W.A., si gioca anche a calcio e si ascolta la musica spagnola del momento, si portano i bambini al parco e si va dal medico; tutta questa normalità che scorre, per pochi momenti, ti fa dimenticare che quasi la totalità dei residenti ha il documento verde, della west bank, ovvero non può uscire dai territori, non può fare un viaggio che non sia al di là della Cisgiordania, della Palestina, che si vive controllati e sotto il continuo passaggio di caccia israeliani, che si vive in un immenso carcere a cielo aperto, dove il pesce, se arriva al mercato, è israeliano come più della metà dei prodotti e costa un occhio della testa; la frutta nemmeno a dirsi. 
Del resto la terra rimasta, per ora, ai Palestinesi è incoltivabile, quindi si ha ben poca scelta. Ma a volte qualche incursione con i carramati di Israele nei mukhayyam fa ricordare subito la situazione. 





Mentre ancora oggi pomeriggio a Gaza la situazione è insostenibile, qui tutto scorre nella "normalità". 

Finalmente una doccia calda e una cena degna del miglio signore Palestinese... mi concedo cucina turca, Borek con pollo e patatine. 

Al rientro a casa... Amjad è sempre li con la sua shisha. 

Buona notte. 

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