Muri e graffiti

07 Luglio 2018

Che giornata strana, per godere della notte dormo poco, del resto uno dei ragazzi tedeschi, Jan (???), spegne il condizionatore e dormire a Yeriho diventa pressoché impossibile. 
Sveglia poco prima delle 9.00 tutti insieme... preparazione e scambiando due parole con il trio di Haifa diretto al Monastero Ortodosso di S. Giorgio, decido di andare con loro, perchè le ragazze di Roma, Luisa e Stefania, non mi hanno ancora risposto al messaggio sull'andare al Mar Morto lato Palestino. 
I tedeschi e l'italiana dopo Khoziba proseguiranno per Betlemme, gli accordi con il taxi, che aspetterà durante la visita al grazioso e sacro monastero, sono di 180 NIS totali, che in quattro fanno 45 NIS cadauno (10€ a testa!)... ottimo, ci sto. 





Come avevo intuito ieri, quella porta nel deserto con la croce è l'accesso alla stradina che s'insinua tra le gole del deserto di Wedi el Quelt, è l'accesso al Monastero di San Giorgio. 

Monastero graziosissimo e, come quello delle tentazioni, abitato dai sacerdoti ortodossi. 



Il deserto che sto visitando da due giorni si può definire come il color ocra e il rosso della roccia che si stagliano contro l’azzurro del cielo limpido e sospeso e immerso nell’arida roccia desertica c'è questo meraviglioso Monastero di bianca pietra che compare alla vista come una chimera. 
In questa desolazione vivono solo i monaci con la loro vita tra preghiera e silenzio. Questo è uno dei più remoti monasteri al mondo piazzato in uno dei luoghi più aridi del pianeta.



Il monastero si aggrappa alla roccia dal IV secolo, quando un gruppo di monaci scelse questo luogo desertico per vivere una vita austera dedicata alla preghiera. La scelta del luogo non gi casuale, qui Elia si fermò durante il suo viaggio verso il Sinai e San Gioacchino ricevette l'annuncio dell'Immacolata Concezione della Madonna. 
Inizialmente fu costruito intorno a una grotta per poi espandersi nel quinto secolo grazie a San Giorgio, monaco ortodosso eremita.  

Con Alexi facciamo foto anche se uno dei cinque monaci che vivono nel monastero ci ha detto di non farne. Il piccolo monastero è una bomboniera di piccoli giardini in mezzo a un terreno brullo. 
Visitiamo la grotta dove passava il suo tempo da asceta San Giorgio.

Ricarichiamo  le pile con frutta secca, acqua, caffè e un succo dolce messi li su un tavolo come offerta al pellegrino dai monaci.
Ho intesta una canzone dei Negrita che non è proprio religiosa. 

Usciamo, il taxi ci aspetta, e dobbiamo risalire parte di una montagna. In cima, alla grande porta con la croce, ci sono venditori, sono beduini della tribù Jahalin, originari della zona del Negev espulsi negli anni ’50 da Israele. 
Vogliono venderci di tutto, io rifiuto e rincaro la dose raccontando a quello che sembra il capo, ciò che successe ieri con i due succhi d'arancia; lui replica dicendo che non è stata cosa giusta e che se la vedrà con lui il giovane beduino. Mentre respiriamo e beviamo la nostra acqua, noto il cazziatone tra beduini e il ragazzo di ieri che mi guarda e prova a giustificarsi col suo capo. 
Sinceramente se si fosse comportato con onestà ieri, oggi un succo di arancia fresco ci stava, e con me i due tedeschi. 


Si riprende il viaggio passando per l'incrocio della fonte di ieri e dell'insediamento israeliano. 
La strada ci conduce, passando per la locanda del buon samaritano (vedasi sacre scritture), costeggiamo l'insediamento, illegale per la comunità internazionale, di Ma'ale Adummim, una vera è propria città per quanto è grande. 
La vista è accompagnata dai molti insediamenti di beduini lungo la via, due giorni fa un campo fù sgomberato con modi non proprio "ortodossi". 

Entriamo ad Azaria o Alza'im, il driver mi dice che oltrepassando i cartelli rossi saremo in Israele. 
Ci cerca subito un taxi per Betlemme e contratta lui per noi...10 NIS a testa (2,5€), va benissimo. 

Nel mentre cambiamo taxi, Laura ha un problema femminile da risolvere, nessuno capisce nulla nemmeno Jan il fidanzato (da quello che ho capito stando con loro), sembra non le vada a genio il taxi; viene in soccorso la nostra lingua nobile e mi fa ben capire con un'esclamazione degna da vera italiana di cosa ha bisogno. "It'a ok guys, five minutes", lei cerca un bar usabile io un bancomat e dell'acqua. 

Tutti pronti, altro giro altra corsa... road to Bethlehem! 
Passando per un check-point libero ma sorvegliatissimo, dall'alto al basso, dalla torretta d'osservazione alla strada. 20 minuti e siamo nella città che diede i natali al Nazareno. Indico all'autista il centro Ibdaa (si pronuncia Ebdì) guesthouse...non lo conosce. 
Scendiamo dal taxi e siamo letteralmente invasi da altri tassisti che ci offrono i loro servigi e cercano in tutti i modi di farceli accettare, la situazione mi ricorda Marrakech e inizia a infastidirmi un po', ma tengo botta mentre contratto un solo passaggio per tutto il gruppo al famoso muro che divide Israele e Palestina pieno di graffiti per 20 NIS (5 a persona, 1€). 
Il muro interessa a tutti e quattro, i miei compagni di oggi, la coppia italo-tedesca 24 anni e il bavarese Alex 25, prima di rientrare ad Haifa vogliono vedere graffiti famosi e la Natività. 
Dinanzi al muro resto impietrito, un conto è leggere libri e le immagini via web o TV, un conto è trovarsi catapultato in una realtà che ha dell'assurdo. 
Uomini che alzano muri per dividersi da altri uomini, per cosa? 
La religione differente? 



Il muro è alto, troppo, liscio, con telecamere e grossi fari che puntano, accesi giorno e notte, il territorio "nemico", ogni angolo una torre di avvistamento; una fortezza in pratica. Welcome to medioevo! 





Di fronte al muro i Palestinesi hanno creato il loro business, negozi di souvenir (cazzo un'assurdità diventa turismo!), vari hotel, ma uno in particolare ti permette di accedere gratuitamente per visitare i cimeli di anni di muro e divisione, il museo (15 NIS, 3,5€) e la mostra di artisti palestinesi; in una sala c'è anche un concorso, vari dipinti, l'ospite entra con una lista e una penna, osserva e pone le sue tre preferenze, il maggior numero di preferenze vincerà...cosa? Non l'ho capito. 





Usciamo, riprendiamo gli zaini posti al di fuori dell'hotel, sul marciapiede, eh già! In Palestina non tocca niente nessuno. 
La coppia cincischia nel negozietto in cerca di una t-shirt e io guardo quello scempio, quel muro, quell'idea che solo l'uomo ha dalla notte dei tempi, chiudersi, dividersi, proteggersi (?!), osservo la miriade di graffiti, scritte, tutte inneggianti alla pace, all'unione, all'abbattimento di questa barriera, c'è spazio anche per Trump, ovviamente, e per gli eroi o le eroine palestinesi quali Leïla Khaled e  Ahed Tamimi, la diciassettenne arrestata poco prima di Natale, perchè ha osato sfidare i militari e colpirli. 



Un ragazzo ci ferma, mentre camminiamo sul perimetro di sta cagata, e inizia a raccontare storie di graffiti. Attira molto la mia attenzione e per un tempo infinito e quando chiedo se devo dargli qualcosa mi risponde di no, lui lo fa per la causa. 

Proseguiamo in cerca del graffito, tra i più famosi, della bimba che perquisisce un milite, oggi inglobato in un negozietto di souvenir, parte del muro del piccolo negozio è fatto da un vetro, in modo che si possa osservare l'opera della street art. 





Taxi e centro città, piazza dove c'è la Basilica della Natività; scendiamo e neanche il tempo di poggiare un solo piede a terra che già un tizio ci bombarda di domande e di offerte per visitare questo o quello, al che la mia pazienza va a dormire e sbotto con tono fermo e deciso "La Shukrâ! E che cazzo", "italiano? Io parlo italiano ho studiato a Roma", eccallà!!! 

Ahmad Atiya è una guida ufficiale in Terra Santa, con tanto di tesserino dell'ANP, che lavora in Betlemme e parla inglese e italiano, perchè appunto per due anni ha studiato alla Spienza a Roma. Mi spiega tutto e mi invita per un caffè al bar trattoria dei francescani per riposarci dal caldo e dalle camminate. 
Gli chiedo scusa per aver sbottato e lui mi tranquillizza sapendo bene come può essere stato il benvenuto a Betlemme, altro che Jericho o Nablus!

Parliamo tanto e ci accomodiamo nel giardino della trattoria dinanzi alla basilica della Natività... relax e buon caffè espresso. 
Tutti parlano italiano qui dentro. 
Sono le 16.28 e con il  muezzin in sottofondo i tedeschi magnano hummus e carbonara ... manca il cappuccino e abbiam fatto tombola. 
Poi dici che perdono le guerre... ecchiccazz' fate scelte di merda!!!!

"Tagliatelle al freddo" piatto italiano  (!!!) che nel belpaese non esiste, se lo so inventato all'estero e la tipa bolognese se lo magna, accompagnando il tutto con Campari. 

Vabbuò io mi fiondo contro un check-point e mi faccio sparà! 

Un po' di amor proprio, di patriottismo, una cosa buona ci è rimasta... il cibo! 
E che fai?  tu di Bologna??? 
E no ja...t voglj bene. 





Finito l'assurdo pranzo-merenda dei miei commensali, io a digiuno Viva l'Italia, i crucchi vanno a visitare la Basilica io resto con Laura a programmarmi la Giordania e a prendere delle info utili da lei che vive in Israele, ci scappa anche la sua battuta sul telefonino, avere un iphone 5c è da sfigato, lei ha il 7... me cojoni!!! 

Qui siamo fuori da ogni margine di dialogo. 

La piazza tra la chiesa e la moschea mi piace...c'è un matrimonio cattolico...sembra di essere in una chiesa a Potenza piuttosto che a Livorno o Padova.  





I ragazzi partono per Haifa e io resto da solo, mi godo tutto, soprattutto la grotta dove nacque il Cristo; un'emozione unica per chi è credente, ma anche per chi non lo è, basta pensare che lì è nato un personaggio storico realmente esistito che ha fatto pacificamente una delle più grandi rivoluzioni della storia dell'uomo, il più grande rivoluzionario che sia mai esistito. 
E questo è un dato di fatto sia per chi come me crede nella Santa Trinità che per Ebrei, Mussulmani o Atei.  

Inginocchiarsi per toccare il suolo dentro una buca dove fu adagiato Gesù è stato per me da brividi, la pace e la sicurezza provata li non la dimenticherò facilmente. 



Qui, in questi luoghi dove profeti e patriarchi hanno parlato di unione di pace e fratellanza, l'uomo crea le più grandi e assurde divisioni.
Per citare Amos Oz (al secolo Amos Klausner), scrittore e saggista Israeliano: 
"Amo Gerusalemme. Ma ho bisogno di mantenere una certa distanza. È troppo conservatrice, in termini ideologici e religiosi.
A Gerusalemme quasi tutti hanno una loro formula personale per ottenere la salvezza o la redenzione. Cristiani, musulmani, ebrei, pacifisti, atei, razzisti, tutti."

Si porta tutto all'ennesima potenza ma mai l'amore. 
Basta usare il medioriente per profitti estranei al medioriente.

Dopo la mia calma visita, nel piazzale antistante il sagrato, noto una struttura francescana per pellegrini. Entro e chiedo qualche informazione, tra cui un alloggio. Certo, è un hotel, stanza singola 45 dollari; e scrivete per pellegrini? 
Ma i pellegrini un tempo non erano dei viandanti spinti dalla fede? Ora cosa sono? Vacanzieri 5 stelle? Euro che camminano? 
No good, rifiuto e passo avanti. 

Mi incammino, con il sole che scende dietro le grigie case, verso il mercato della cittadina. Mi ferma un venditore di kufihe, parliamo un po' e gli chiedo dove sta l'alloggio che mi consigliò giorni fa Andrea il foto-reporter. 
Lo conosce e mi indica la strada dicendomi che lui è un organizzatore del campo refugiati e che in 45 minuti a piedi sarò al mukhayyam. 
Insiste di dire il suo nome una volta al campo, ma ahimè all'arrivo l'ho dimenticato. 




Passo per il centro attivo come tutti i centri arabi e scendo verso Hebron Road, al semaforo a sinistra sempre dritto. 
A metà strada opto per un ristorante pizzeria "happy Milano", spero in un happy hour! 
Nulla. 
Mi propongono pizza. Non ci pensate minimamente. 
Hamburger e patatine con coca cola. 
E stasera un VIP... un italiano vero nel loro locale!!!
24 NIS con espresso offerto (6€). 

Riprendo il cammino e secondo i miei calcoli mancherebbero all'incirca un kilómetro, la distanza da casa di mia madre alla mia pizzeria preferita. 

Inizio a chiedere in giro del Ibdaa Center Guesthouse... nessuno sembra conoscerlo e intanto mi spingo sempre più giu... mancava poco sbucassi a Hebron! 
Un gruppetto di ragazzi mi saluta e chiedo di Ibdaa, conoscono e mi dicono di continuare dritto e chiedere a qualcuno perchè tutti lo sanno. 
E invece pare proprio di no. 
Arrivo più o meno a destinazione, secondo google maps, ma non vedo altro che locali e negozi, il gommista alle 22.00 che cambia gomme, il market con le donne a fare compere, i bar, i ristoranti e via cosi, compreso il macellaio a cui chiedo informazioni e anche lui non sa nulla. Inizio a diffidare di Andrea mentre si scarica il telefonino. 
Il giovane macellaio mi invita a caricarlo nel suo esercizio e a sedermi con un caffè appena caldo. 
Mi dice di non preoccuparmi che riusciremo a capire dove sta questo posto e che posso contare sul suo aiuto. 
Mentre lavora arrivano altri due, fratelli? Soci? Entrambe le cose? 
Boh! 
Fatto sta che uno, il più attivo di tutti, che conosce tutti e parla anche un perfetto inglese, mi chiede di vedere la mia mappa mentre controlla i registri della macelleria. Dopo minuti interminabili che lui dedica prima alla sua attività, guarda sul mio telefono il nome ed esclama a gran voce di sapere dove sta. "100 metri più avanti, tu esci e conta 100 passi e sei arrivato e chiedi". 
Ok. 
Ringrazio per l'ospitalità ricevuta e col mio bel bagaglione conto 100 passi, mi volto a sinistra e vedo ina sede UNRWA e di fronte IBDAA Center, un centro culturale attivissimo che funge anche da pensione. 







Sbircio in un bar il quarto di finale Russia-Croazia e entro. 
Il centro in pieno campo rifugiati, mukhayyam, è un centro culturale molto attivo e bello; mi accoglie con l'immagine di Hugo Chávez Frías e disegni sulle pareti a tema palestinese. La prima porta a sinistra da accesso a una hall piena di targhe e coppe, foto di squadre di calcio, basket e pallavolo maschili e femminili, e tra le varie magliette spicca una professionistica, quella del Livorno Calcio.




Un ragazzo mi accoglie sotto delle bandiere palestinesi e una sciarpa al muro algerina e mi da una camera, sono solo stanotte. Subito in doccia mentre dalla strada sento le urla per i rigori della partita del Mondiale di Calcio. Credo sia passata la Croazia, che mieteva simpatia prima per strada. 

Esco un attimo per comprare dell'acqua, sono in pieno mukhayyam in un centro culturale e sportivo vivo e attivo. Domani farò delle domande prima di puntare a un altro centro nevralgico palestinese: Hebron. 

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