La fine del viaggio nei posti dell'anima

21 Luglio 2018

La nottata è passata rapida e indolore, molto probabilmente per la stanchezza mentale e fisica che ha invaso la mia carcassa. 
Apro gli occhi e il giapponese che ieri giocava al PC non c'è già più, il sionista del nord invece se ne fa di sonno. 
Sono le 9.00 del mattino, fuori è già caldo, l'immensa famiglia di russi che alloggia al piano superiore è operativa e alquanto rumorosa, cucinano di tutto, dalla carne al pesce passando per latte e cereali; i più piccini urlano, piangono e corrono da un lato all'altro dell'immobile, i grandi non hanno alcuna delicatezza nel chiudere porte, uno in particolare entra e esce dalla porta che da nel prato in continuazione finché incrociando lo sguardo gli dico qualcosa ricco di nervosismo; aspetto un litigio, invece mi chiede scusa e va. 
Mi preparo un tea, lo bevo, raccolgo i miei averi, raccolgo quel briciolo di spirito che mi è rimasto e mi contraddistingue e lo infilo nelle scarpe ormai rotte. Affronto per l'ultima volta il caldo di questo golfo, di questo conteso angolo di mondo, cammino per le belle strade israeliane, tra villette stile Venice Beach e donne scosciate che portano in giro i cani. Circa un chilometro e, alle 12 circa, senza esitare entro nella stazione dei pullman, guardo i tabelloni in cerca del primo bus per Gerusalemme o Tel Aviv; alle 12.30 parte il primo mezzo per la Capitale Tel Aviv, mi fiondo in biglietteria mentre c'è già una discreta fila al pullman, 70 NIS (17€ circa) e cinque ore di viaggio. 

Nel pullman il mio stato d'animo è strano, ho perso l'entusiasmo che mi ha accompagnato per tutte queste settimane, ho molta tensione per ciò che potrà avvenire in aeroporto. Sistemo i file del mio telefonino, invio e cancello foto o documenti che potrebbero crearmi ulteriori problemi. 

Il pullman è fresco e io penso buttando i miei occhi al di là del finestrino, spazi sconfinati, colori che si sposano con il sole, pensare che questi luoghi li hanno calpestati i piedi di molti uomini, da est a ovest, fa un effetto stordente guardare questi posti che trasudano storia. 
Il convoglio ferma in un'area attrezzata, un'equivalente dei nostri autogrill, scendere è ricevere uno schiaffo di calore. 
In tanti si fiondano a mangiare, in molti al Mc Donald, viaggiano con me anche i due Olandesi della frontiera, scambiamo due parole sulla nostra esperienza al controllo passaporti, più la mia che la loro in verità, mentre loro mangiano patatine fritte e io un croissant alle mandorle, il tutto sotto il caldo afoso e appiccicoso. 
Si riparte e io mi addormento, altra sosta e, finalmente, alle 17.30 arriviamo alla stazione new Cofizz di Tel Aviv; il tempo di scendere e mi ritrovo solo con me stesso, non si trova nulla di aperto, né una biglietteria né un ufficio informazioni. Decido di passare del tempo seduto al McDonald al piano più basso della stazione, un panino e un gelato, mi perdo a osservare le  tante persone che entrano, sostano ed escono, le persone fuori che si aggirano tra ambulanti e negozietti, quelli si aperti. 
Non mi va di muovermi da qui, l'unica cosa che mi viene in mente è andare direttamente in aeroporto e aspettare la partenza del mio volo per Roma. 
Non so come arrivarci nello scalo "Ben Gurion" e nemmeno è facile capirci qualcosa, esco e entro più volte dalla stazione dei bus, militarizzata, ogni entrata è costellata di controlli file. Cerco uno sherut (taxi collettivi) ma nessuno va in aeroporto, tutti ripetono che dovrei prendere un taxi, 40€ circa! 

Qualcuno mi manda alla vicina stazione dei treni, Ha'Hagana, che trovo chiusa per lo Shabbat. Provo a chiedere se apre e quando ma nessuno, e ripeto nessuno, sa darmi info certe. Assurdo! 
Sono sempre più incavolato con gli israeliani e sempre più voglioso di Roma. 

Scopro che il primo treno per l'aeroporto sarà alle 5 del mattino, tardi per me. Rientro in stazione bus, giro tra gli sherut cercando di farmi venire un'idea e arriva la provvidenza in mio supporto, un vecchio signore con dei cerotti e dei vecchi sandali, mi chiede dove devo andare, rispondo male, lui insiste, cedo "aeroporto", finalmente qualcuno che mi indica come arrivarci in maniera economica, "entra dentro nuovamente e prendi il pullman numero 475, cosi faccio ma non mi fido. 
Una volta dentro trovo una presa per ricaricare il telefonino e con il wi-fi cerco di trovare notizie utili e reali sugli spostamenti, poi chiedo a un ragazzo di aiutarmi con il sito internet, visto che è scritto in ebraico; mi aiuta e mi da altre notizie, bus numero 278 fino a un punto e poi il numero 5 che porta dentro il grande aeroporto. 
Guardo il tabellone e entrambi, il 475 e il 278, partono alle ore 21 in punto. 
Chiedo in giro e entrambi vanno nei pressi dello scalo e poi sempre il famoso numero 5 per i vari terminal. 
Prendo il primo che arriva e inizio a parlare con il primo israeliano che mi sembra gentilissimo, dopo un po' mi dice essere indiano, ecco il perché della sua gentilezza e il suo aiuto. 
Parla dell'India e dice essere invivibile per via delle differenze fatte tra le varie confessioni religiose, "come qui in Israele" dico, lui dice di no, che qui in Terra Santa non esiste distinzione. Muah! 
Mi dice dove scendere e ci salutiamo calorosamente. 
Aspetto il numero 5 senza fretta e senza ansie, il terminal non mi sembra poi lontano a piedi. 
Sono passate le 23 quando arrivo al Terminal 1, quello in cui arrivai il 29 Giugno, una guardia donna e un uomo salgono sul bus numero 5 per controllare i documenti miei e di una ragazza; per entrare nello scalo vengo fermato da in altro agente che mi chiede passaporto e biglietto, vede il documento di viaggio e mi dice che non posso entrare perché il mio volo partirá dal Terminal 3 e che comunque mancano tante ore, sono in netto anticipo, il mio terminal apre alle 2.00. 
Lo convinco a farmi entrare nel terminal 1 per comprarmi qualcosa da mangiare e sedermi sulle poltroncine nell'attesa della mia ora, non prima dell'interrogatorio! 
Che palle!!!

Il tipo é gentile e si dialoga senza patemi, mi da l'ok con un sorriso e finalmente entro. 
Compro dei wafeer e dell'acqua, mi siedo su una poltroncina e svengo dalla stanchezza senza nemmeno accorgermi del via vai e delle persone che mi circonderanno da li a poco. 

Quando mi sveglio sono le 2.00, esco e raggiungo la fermata della navetta che mi porterà al terminal 3 passando per tutte le zone parcheggio. 
Nel terminal 3 non perdo tempo, ho sempre il timore di nuovi interrogatori. Non è possibile fare il check-in on-line, per cui si è obbligati a recarsi ai banchi per il check-in appunto. Si fa una fila con gli slalom classici per recarsi ai controlli in qualsiasi aeroporto del mondo. A fine fila ci sono quattro i cinque banchini con degli agenti che controllano e chiedono, guardano e decidono. Io, nell'attesa, mi sento come ai tempi dell'Università dove pregavi ti chiamasse l'assistente del professore che ti sembrava più buona, o almeno meno stronza. 
Vengo accontentato dal fato, e la ragazza, fortunatamente, quando mi parla sorride e non riesce a guardarmi in viso senza arrossire. Una sola domanda relativamente ai miei vari timbri marocchini sul passaporto, poi sorridendomi mi augura buon viaggio, mi lascia passare ma mi chiede di aspettare che facciano prima i check per il volo per Firenze e avvicinarmi al banco solo quando chiameranno Roma. 
Io attendo un pochino, poi mi avvicino e chiedo se devi aspettare o posso... posso. 
Il mio zaino è bagaglio speciale per cui vengo mandato dove imbarcano i bagagli fuori misura, me lo incartano con del cellophane e via. 
Ho tenuto l'indispensabile nel marsupio. Passo i controlli senza problemi ma con lentezza e paranoie israeliane. 
In attesa del gate, carico il telefonino mangiando un croissant e cappuccino con gli ultimi 15,5 shekel. 




Finalmente il gate, B4, alle 7.30 sono seduto nel veivolo, ma la partenza ritarda. Io sono crollato nel sonno più dolce che potevo, al mio primo risveglio noto che l'aereo è ancora in pista, ed è passato più di mezzora. 

Alla fine si vola mentre io dormo, scaricando stanchezza e tensione. 




È già 22 Luglio e sono finalmente a Roma, in Italia. 

Controllo passaporto a casa mia, una formalità, aspetto il bagaglio che non tarda ad arrivare e treno direzione Tiburtina, dove le mie due nuove amiche conosciute in Palestina, Stefania e Luisa, mi aspettano per pranzare insieme. Il cibo italiano ben cucinato e il buon vino bianco mi massaggiano lo spirito. 





Su una terrazza di un appartamento romano, in piena estate, 
è pace 
è casa. 
Non si puó spiattellare tutto ma proprio tutto su internet c'è un limite suggerito dalla decenza, ma quello che i miei occhi hanno visto il mio cuore custodirà gelosamente. 
Grazie 

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