Dall'alto al medio Atlas

~ VI giorno ~

È l'alba quando usciamo dalla nostra tenda immersa nel deserto. I colori che ci regala questa parte di mondo sembrano la tavolozza di Van Gogh mentre dipingeva i suoi girasoli. Il mattino prende la quiete in eredità dalla notte... il silenzio.
L'aria è piacevolmente fresca. La godiamo prima dell'arrivo del gran caldo giornaliero.
La testa si svuota dei pensieri e si riempie di immaginazione, come lo stesso nome vuole... Sahara!

È piacevole fare colazione sui cuscini berberi in mezzo alle dune arancioni e il cielo ancora ocra, che man mano diventa completamente azzurro, mentre noi sorseggiamo l'immancabile te.
Msmen e miele per ricaricarci in vista del grande viaggio fino a Fez.

Lasciare il campo è un po' come lasciare un pezzetto di cuore qui. Il berbero vestito di azzurro con gli occhi contornati di nero ci saluta e ci dice che forse ci rivedremo. Inshallah!
Un taxi collettivo da sette posti ci condurrà a Fes. L'autista è persino peggio di Checco Peppino: carica i nostri bagagli come fossero tappeti vecchi. Speriamo lo zaino, compagno insostituibile di mille viaggi e molte avventure, non cada per strada.
In auto per il momento siamo noi, una coppia di italiani conosciuta nel campo tendato e un ragazzo biondo con un capello simil cresta. Sì chiama Bobby e viene dalla California.
Il conducente, che ribatteziamo Riccardo, raggiunta Merzouga si ferma in farmacia, noi italiani ne approfittiamo per comprare dell'acqua. Nel frattempo si unisce al viaggio un ragazzo probabilmente del posto, occhialino da sole, barbetta incolta e ricci setosi; si siede di fianco a Daniele, l'altro italiano mentre noi siamo relegati in fondo a questa dacia sette posti, assai vissuta per non dire polverosa e puzzolente,  stipati come salami sottovuoto.
Che Dio ce la mandi buona.

Superata Al-Rashidiia, troviamo la strada interrotta e chiusa al traffico. In questo viaggio abbiamo trovato un Marocco che sta facendo grandi opere, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture, per cui scavano e rimuovono letteralmente pezzi di montagna per allargare e raddrizzare le strade. Non ci resta altro da fare che sostare e bere un caffè in questa area di servizio fuori dai centri abitati. 
Per riprendere il cammino, quello che ormai per noi si chiama Riccardo, opta per una deviazione per strade sterrate, prima di uscire di nuovo sulla statale N13. 
La sua guida è tanto audace che sembra di percorrere il famoso rally lucano, la Sellata-Abriola. Gli chiediamo di andare più adagio, lui sorride e... continua a trasformare le montagne dell'alto Atlas in montagne russe! 
Gli promettiamp che gli vomiteremo in testa, annuisce. È terribile: tra caldo, curve, mal di testa e mal di stomaco, ci ritroviamo a pensare con nostalgia al nostro appartamento mignon ma comodo, rispettivamente al nostro divano e poltrona, dove in questo momento vorremmo tanto essere.
Man mano che passiamo la catena montuosa il rosso della terra si confonde con il verde degli abeti, in lontananza iniziamo a vedere grandi vallate. 
La polvere invade il nostro mezzo. La strada è tanto trafficata, autobus, furgoncini, moto, taxi, 4x4 e qualche camion. 
Il viaggio è orribile, bocca secca, cervicale a fuoco, tanto caldo, anche il vento è caldo e Riccardo corre... Che Dio lo abbia in gloria! 

All'improvviso il nostro compagno di viaggio americano, seduto avanti, accanto all'autista, inizia ad urlare!!! 
Sembra gli sia entrato un insetto nell'orecchio e nonostante nessuno veda nulla lui dice di sentirne il ronzio e si dimena come un posseduto. Cerchiamo di aiutarlo, con la torcia del cellulare anche l'altra coppia di italiani gli illumina l'orecchio,ma nn si vede nulla. Lui però dice di sentire un ronzio dentro e guarda tra l'allucinato e il preoccupato Riccardo l'autista che dinanzi a tutta questa scena rimane impassibile e se possibile, accelera maggiormente nelle curve. La cosa sta prendendo una piega tragicomica perché a tratti ci viene da ridere, pensando Bobby si sia suggestionato, un po' siamo angosciati per lui mentre tra una curva e l'altra veniamo sbatacchiati contro il sedile da cui emergiamo con la carnagione di un bel verdino pisello. 
All'improvviso,  aiutandosi anche con un cotton fioc vediamo uscire dall'orecchio di Bobby un'ape, nera nera e piuttosto grandicella. Qualche gridolino di stupore e felicità tra noi,  lui ride contento, sollevato, l'autista rimane impassibile come fosse di cera. Bah! Intanto riflettiamo sul fatto che  l'ape potrebbe fare il miele con retrogusto di cerume. 
Povera apina!!!

La coppia italiana dinanzi a noi è calata nel sonno più profondo ma ha lasciato completamente aperto il finestrino. Dietro ci arriva di tutto nonostante cappello e sciarpa a coprirci e siamo ormai ai capelli dritti per sto viaggio impossibile.
Occorre agire e come si dice, a mali estremi, estremi rimedi!
Il bastone da selfie viene in nostro soccorso e con rara maestria, Lu riesce ad agganciare il bottone con cui alzare il finestrino!!! 
Yuppi!!! Un piccolo passo per l'uomo, un passo enorme per una bradipa maldestra!!!

Il viaggio prosegue e noi siamo sempre più stravolti da sto tizio che guida con i piedi in mano, come direbbero nel foggiano.
Neppure la pausa pranzo ci dà sollievo. Lu è bianca cadaverica e mangia solo perché deve. 
Odio profondo per Riccardo a cui augura le emorroidi perenni.

L'ultima sosta prima di Fes è in un luogo che potrebbe tranquillamente essere scambiato per un qualunque passo di montagna lucano. Ci sono alberi e ombra refrigerante. E soprattutto ci sono delle scimmie che pare aspettino solo noi per farsi fotografare.

Offriamo loro datteri e noccioline che ci dà un venditore ambulante, nella speranza che possiamo poi pagare a lui il disturbo o il PRISCIO, a seconda dei punti di vista!

Finalmente arriviamo a Fes Ben Alì, la Medina, in quella che un tempo era la vecchia capitale del regno del Marocco.
Riccardo ci lascia dove può ma non ci degna neppure di un saluto e noi ci regoliamo di conseguenza. Un giovane mingherlino e vestito con abiti piuttosto vecchi e sporchi ci accompagna al Riad, portando i nostri bagagli in un carretto che lui spinge sorreggendolo da dietro.

È una scena non inusuale. Impensabile per noi popoli civili e pienamente inseriti nel sistema occidentale, ma in fondo, se ci pensiamo è un modo per questi poveretto di guadagnare la giornata. Molti Riad se ne servono.

Il posto che ci ospita per due notti è qualcosa di inenarrabile. Meraviglioso! Un riad da sogno, all'interno di un palazzo antico mille anni.
Ci accoglie il proprietario, Al Idrissi, che ci tiene a dire essere tale e non il gestore. Lui è un professore universitario di scienze politiche, si è laureato a Parigi e ora gira il paese a tenere discorsi e conferenze.
Con malcelata falsa modestia ci dice di essere assai famoso in Marocco e ci mostra i risultati che Google rimanda se digitiamo il suo nome.

Un antenato era il fondatore della città e i suoi avi sono tutti notabili e nobili di Fes! Hai capito lo zio??!!
Tutta la struttura è un tripudio di tradizione marocchina: specchi, suppellettili, cuscini, lampadari. E poi l'immancabile fontana al centro da cui zampilla l'acqua.
Le porte interamente istoriate sono di rara bellezza. E originali. Così come i pavimenti.

Lasciamo  i nostri passaporti per la registrazione, ammiriamo per un po' la nostra stanza e la sala della colazione, ma poi fuggiamo a fare l' hammam, in una  spa poco distante. Un'ora e mezza di coccole tra scrub, bagni di vapore, bagni con acqua alle rose, massaggio al viso fino ai capelli. Due donne si sono prese cura di noi lasciandoci la pelle profumata e morbidissima.
Un rituale, quello dell'hammam, che gli arabi hanno sostanzialmente mutuato dai romani, amanti delle terme.
Ci tuffiamo nella Medina alla ricerca di qualcosa da mangiare, il souk di Fes è meno caotico di quello di Marrakech,ma  ugualmente ricco di fascino, con i venditori che offrono la loro merce esposta ordinatamente suo banchi e nelle botteghe 

Lu ha ancora i capelli bagnati dalla spa e tira una certa arietta. Chiede ad Abdoul, il muscoloso venditore di shawarma da cui si è fermato Fab, se può aiutarla. Detto fatto. Lui molla il banchetto di carne che espande nell'aria un profumo delizioso e le dice di seguirlo, tra i vicoli del souk alla ricerca di "shishuwa'", l'asciuga capelli. Un paio di botteghe sono chiuse e quando Lu già sta per dirgli di nn inoltrarsi più avanti e di tornare al tavolo da Fab che è lì che aspetta, lui dice no, no, dobbiamo trovarne uno.

 E incrocia in quel mentre un amico Parrucchiere che ha appena chiuso la sua saracinesca. Abdoul gli parla, qualcosa del tipo "non possiamo non essere ospitali con questa donna". Lui a quel punto apre nuovamente il negozio e fa il gesto di voler fare accomodare Lu per pettinarla. Lei dice di no, ha già approfittato troppo.
Fa da sé e arronza pure, nn vuole rubare altro tempo a questi onesti lavoratori.
Ringrazia di cuore il parrucchiere e ancora di più Abdoul che la riporta da Fab, un po' preoccupato per l'assenza prolungata.
Un dolcetto e si torna al riad, per l'ennesima notte tra mura che sussurrano storie lontane e parlano di avventure che trasudano centinaia di anni.



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