il Blu Majorelle

~ III Giorno ~ 
Ieri si è camminato un bel po', concludendo il giro del souk con una sosta in pasticceria. Dal bel banco pieno di dolci è arrivato un invito irrinunciabile da una mano tesa su cui erano poggiati due dolcetti arabi. Chi ci conosce immagina che ne abbiamo assaggiati vari e comprati di più... e immagina bene! 

Ieri sera arrivati al Riad, abbiamo immerso le nostre gambe nella piscina del cortile. Le sue acque fresche sono state un toccasana per le nostre caviglie divenute dei cotechini. Parlando della Medrassa abbiamo passeggiato nella vasca. 

La Medrassa Ben Youssef è la scuola coranica più bella del nord Africa. Un corridoio un po' buio ci porta nel cortile che è il massimo dell'architettura moresca, una delizia per gli occhi. 


Al centro una grande fontana e ai lati due file di colonne, tutto è decorato da stucchi, zelige (classiche mattonelle moresche) e i tagli nel legno di cedro; come la cupola nella sala delle preghiere, in cui sono incastonate ventiquattro finestrelle con cornici di stucchi finemente lavorati. 
Prima di visitare il piano superiore, ci siamo seduti sotto il colonnato e ai bordi della grande fontana a gustarci la quiete dopo tutta la frenesia del souk e ad ammirare beati questo spazio adornato.
Nel piano superiore ci sono aule studio e camere da letto, dove un tempo vivevano novecento studenti!!! 

La giornata odierna inizia con un salto dal calzolaio di fronte al Riad, conosciuto ieri nel nostro girovagare. I sandali di cuoio della mia compagna di viaggio hanno bisogno di una piccola revisione e il magrissimo berbero nascosto dietro un minuscolo tavolinetto di legno da lavoro ci aiuta. 
Nel frattempo che lui sistema il sandalo, noi... proviamo sandali e Babouche di pelle e cuoio. 
Acquistiamo e lasciamo in custodia. 

Iniziamo la giornata... Direzione: i Giardini Majorelle e il museo della fondazione Yves Saint Lourent. 

Prima di raggiungere Piazza Jema El fnaa compriamo una crepes marocchina farcita con gli ingredienti dell'insalata berbera. La corpulenta venditrice ci fa giustamente notare che al mondo esistono solo due tipi di pizza, la napoletana e la marocchina. 
Vabbè... Assaggiamola.

Nell'immensa Jema El Fnaa la vita sembra non aver avuto pausa alcuna da ieri sera. Stamattina ci sono i famosi incantatori di serpenti con i loro cobra e pitoni, oltre alle scimmie tenute con delle catene. Obbrobrio. 
Preleviamo dei dirham, moneta locale, e fermiamo il primo taxi. Mostriamo solo 50 dh dicendo: "ci porti ai giardini?", "no problema" risponde. 
Nel breve tragitto di qualche kilometro, tra il trambusto generale, due motorini si scontrano, ha la peggio una giovanissima ragazza con il capo avvolto da un hijab rosa, un labbro rotto e tanta paura. 

Scendiamo dal taxi e giacchè il clima non è caldo come il solito, bensì fa proprio freddino, ci infiliamo in una boutique che incontriamo lungo la strada in cerca di un foulard per coprire almeno le spalle. Ne usciamo con due casacche di lino e seta, morbidissime al tatto e di grande pregio. La tasca si è alleggerita parecchio: più coperti ma meno pesanti! 

Stamattina ci sentiamo strani, mal di testa oltre che dolori vari articolari. Risultato di un inverno da bradipi. 
Facciamo la fila per acquistare il biglietto d'ingresso, 220 dh (22€ circa) i soli giardini. Noi abbiamo accesso gratuito in tutti e tre i siti: Jardin Majorelle, museo della cultura Berbera e fondazione Yves Saint Lourent. 

Questi giardini sono una creazione del pittore francese Jaques Majorelle,  l'inventore della particolare tonalità di colore blu che prende il suo nome. Arrivò in Marocco in cerca d'ispirazione e acquistó un pezzo di terra, in cui costruì una casetta e coltivò piante provenienti da ogni parte del mondo. 

Il giardino è un tripudio di colori che virano su tutte le tonalità di verde. Poi ancora fiori di mille tinte, soprattutto quelli delle piante grasse. Su tutto trionfa il blu majorelle, caldo, avvolgente. 

Gli scatti non si contano e neppure i selfie. Come noi tanti turisti, alcuni dei quali dei perfetti NCANTAT' che non hanno ben compreso come dopo una foto sia bene spostarsi per nn venire nelle foto di mezzo mondo. 

C'è pure una modella per uno shooting fotografico: indossa un abito da sposa ricchissimo di decori e pietre sbrilluccicose. Forse non è proprio l'emblema della sobrietà, ma nel suo genere è carino. 

Dopo i giardini, è la volta del museo della civiltà berbera: tra foto, filmati e suppellettili vari, si impara tantissimo a proposito di un popolo così misterioso. 
L'etnia nota come Berberi, si chiamano Imazighen, letteralmente “Uomini liberi”. In l'occidente la storpiatura della parola araba barbar, ovvero barbari, ha portato alla parola francese bèrbèr. Sono quell’insieme di popoli di lingua tamazight che abitano buona parte del deserto del Sahara e del Nord Africa.

Riprendiamo un taxi con lo stesso metodo dell'andata e stavolta paghiamo ancora meno. Qui le trattative sono all'ordine del giorno. 
Ci facciamo lasciare davanti alla porta più bella di Marrakech: Bab Agnou. 

Ci incamminiamo verso la piazza del quartiere ebraico dove ci attende Youssef l'erborista, a cui abbiamo dato la nostra parola d'onore che saremmo tornati e avremmo comprato qualcosa da lui. 
Prima però decidiamo di pranzare, in un ristorante touareg, sono le 16.45. 
La scelta si rivela azzeccatissima. Bellissima terrazza panoramica e ottimo cibo abbondante. 

Sono quasi le 18, corriamo da Yosseuf, di li poco distante. Come ci vede il giovane commerciante spalanca il suo bianco sorriso e dice: "lo sapevo che gli italiani danno valore alla parola data". 
Mentre ci offre il tea dell'ospitalità marocchina, le nostre narici iniziano ad inebriarsi di odori: spezie tra le più disparate, oli ed essenze ci regalano profumi. 
Mentre lui consiglia noi ci dividiamo tra chi sceglie e chi inizia a fare di conto. 
Ne usciremo meno ricchi ma vincitori e con molti tali o da parte di Youssef. 

Salutiamo quasi emozionati il nostro nuovo amico e corriamo in camera. Stasera si festeggia e noi abbiamo un tavolo prenotato.

Dar er Salem, è dietro l'angolo, ed è un locale molto famoso grazie al film di Hitchkok, "L'uomo che sapeva troppo" del 1956, girato proprio tra le sue mura. 
Una scalinata di zelige (i mosaici del posto, composti da ceramiche che ricorronotra loro i colori) dall'ingresso ci immette nel lungo corridoio che porta alla sala più grande. 

Tavoli tondi ricoperti da un tovagliato lungo e ricamato fanno da cornice alla sala impreziosita da pietre luccicanti e nel mezzo una bella fontana a base ottagonale. 

Ci fanno accomodare su divanetti con tanti cuscini elegantissimi, da dove di lì a poco gusteremo un'ottima cena marocchina, mentre assistiamo allo spettacolo che diversi artisti ci regalano, esibendosi man mano: danzatrici del ventre, musicisti, ballerine...

Noi per l'occasione siamo in grande spolvero e tiriamo fuori dalla valigia rispettivamente l'abito lungo e la camicia.
Ci sono tanti turisti, da ogni parte del mondo e si sentono tante parlate. È uno degli aspetti belli del viaggio: incontrare qualcosa di nuovo, di altro, di diverso.

La cena è ricca e deliziosa, a base di piatti locali. Il posto, magico. Sembra di essere in un'altra epoca: i camerieri sono ossequiosi e sfoggiano con orgoglio un discreto repertorio di parole italiane che ripetono ad ogni occasione.

Prima di rientrare, stanchi ma trasognati, c'è tempo persino per una esibizione personale, sulle note di Toto Cutugno "L'italiano" del 1983 che è conosciuta praticamente da tutti!

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