Munch... arte in Oslo


Il risveglio a casa di Hugh Grant norvegese è piacevole. E siamo anche piuttosto affamati. Fa strano essere gli unici a mangiare nella sala della colazione. Lui ci chiede da dove veniamo, sorride sentendo Italia, ci fa vedere il negozio di mobili e complementi di arredo e poi ci congeda.

Ripartiamo alla volta di Oslo, che dista poco più di un’ora e sarà perché è giorno, ma la strada ci pare migliore. 
Pochi kilometri e una sosta rifornimento dopo, ci ritroviamo davanti agli occhi nella sua imponenza la Heddal Stavkirke, la più grande e famosa chiesa in legno norvegese di Heddal, risalente al XIII secolo, con tetto spiovente a più livelli ed elaborate lavorazioni lignee. 
Vale la brevissima sosta. 

Più ci si avvicina alla capitale, più aumentano le corsie e la presenza umana sulle stesse. 
Arrivati in città, per prima cosa ci dirigiamo in albergo a lasciare le valige che stanno diventando sempre più pesanti. 
Abbiamo scelto una struttura proprio vicina alla stazione così da non avere troppa distanza domattina, quando il treno ci condurrà in aeroporto. L’albergo è nuovo e super automatizzato. Anche il check-in avviene tramite display. La stanza è molto piccola ma per una notte andrà benissimo.


Corriamo a lasciare la macchina e finalmente a piedi, gironzoliamo per il centro e per i parchi di cui è piena la città, fino a raggiungere il Munch Museum inaugurato dopo anni di lavori proprio nei giorni scorsi.

Non ci sono più biglietti, tutto esaurito, ma insistiamo... 
siamo solo due e domani mattina lasceremo la Norvegia. 

Da quando è iniziata la pandemia, non abbiamo più vissuto la vita come piace a noi: incontrare l'arte in tutte le sue forme... Cinematografica, teatrale, letteraria, musicale e ammirando i lasciti dei numerosi artisti del passato. Questo forse è quanto più ci è mancato. 

Il nuovo museo dedicato al gigante del modernismo scandinavo è composto da tredici piani per 60 metri di altezza, una superficie di 26 mila metri quadri, 11 gallerie espositive e una collezione di 42 mila pezzi. La struttura modernista è immersa nel vivace quartiere di Bjørvika e affacciata sulle acque del fiordo, accoglie e restituisce in veste ultra contemporanea l’eredità che Edvard Munch lasciò alla sua città nel lontano 1944: quasi 27 mila tra opere d’arte, fotografie, lettere, oggetti personali e strumenti del mestiere. 
Quindi è stato chiuso definitivamente il vecchio museo di Tøyen, che nel 2004 fu teatro del clamoroso furto dell’Urlo. 

L'inaugurazione del Munch Museum è avvenuta venerdì 22 ottobre per proseguire con un lungo weekend di festa.
E noi fortunatamente ci troviamo in piena festa nella capitale norvegese.
Immergersi tra le 27 mila opere di Edvard è un'esperienza forte, i suoi dipinti e i suoi schizzi intervallati da frasi che appuntava qui e là su pezzetti di carta sono tetri e rispecchiano il suo animo turbato dalle perdite importanti e violente subite negli anni più sensibili della vita di un essere umano. 

Munch metteva spesso su tela o semplice foglio i temi della malattia, la morte, l'abbandono e i pensieri che turbano l'uomo in quanto maschio. 

Tutti temi che hanno violato la sua famiglia: rimane orfano di madre presto per colpa della tubercolosi, a quindici anni viene a mancare anche la sorella maggiore a cui era molto legato, forse perché era diventata la parte materna che gli mancava, anche lei per malattia. Intanto il padre perde la ragione e cade in un vortice di depressione e vittimismo. Perde anche un fratello appena sposatosi.

Edvard dipinge. E mette nei suoi quadri anche la morte come l'ha vissuta lui, una giovane donna allettata e donne piangenti intorno. 
Dipinge anche la madre morta. 
Ogni scelta comunque è fatta di linee marcatamente forti e colori scuri. 

Dipingerà quasi sempre all'aperto, facendosi accompagnare dalla natura norvegese che tanto amava, e infatti spesso quello che ha dentro l'animo l'uomo, l'uomo Munch lo mette insieme a un fiordo e a un cielo coloratissimo come quello scandinavo... 

è proprio il caso del suo dipinto più famoso: l'Urlo. 
Pensato proprio quando su un fiordo passeggiando con due amici, probabilmente sotto un'aurora boreale, sente un urlo che gli esplode dentro. Ma i suoi due amici non sentono il suo malessere. 

Del l'Urlo ci sono varie versioni, la prima forse è quella dove c'è un viso umano. Poi la notizia di un cadavere mummificato in america latina lo influenza in quella che sarà la versione che tutti conosciamo. 


Dell'Urlo esistono la versione a carboncino, quella su foglio e infine il dipinto su tela finito e più colorato. 

Gli avvenimenti della sua vita e quell'urlo dentro che non esce, forse implode tanto che Edvard si abbandona all'alcol. Ma il bello di questo personaggio, per noi , è stato il suo rinascere, decidere di curarsi e affidarsi ciecamente al suo medico, che prima lo fa ricoverare per otto lunghi mesi e poi gli vieterà tassativamente bar e amicizie. 

Edvard Munch guarisce e, finalmente, con i soldi guadagnati dai suoi lavori, complice il fatto che i suoi concittadini iniziassero ad accorgersi di lui e ad acquistare i suoi quadri, compra dei terreni e una casa nella periferia di Oslo. Si rifugia lí, lontano dal mondo e dalle cattive abitudini e inizia a dipingere con più vivacità, più colore, la bucolica campagna norvegese. 
Si nota tanto lo stacco dal primo Munch, quello cupo, triste, spaventato e angosciato, e quello della maturità più sereno. 

Il viaggio nei musei ci piace sempre moltissimo, osservare cosa ogni autore voleva esprimere è qualcosa di magico e Munch oggi si è fatto conoscere ancora più in fondo. 

Soddisfatti usciamo e riempiamo gli occhi con il marmo di Carrara con cui hanno costruito l'opera house di Olso. 

Davanti alla stazione c'è tempo per mischiarci con dei bambini che giocano lungo un mini percorso avventura. 
Un gazebo ospita giovanissimi artisti che si cimentano su lunghi teli con grandi pennelli tenuti dalle loro minuscole ma decise manine. 

Vaghiamo per la capitale più leggeri, di tasca e di forze fino all'arrivo della fame che ci conduce al nostro posto magico, l'Oslo Street Food. 
Relax, risate e cibo internazionale. 
Un'ultima sosta a salutare il nostro amico Curdo e andiamo a riposare. 

Il mattino seguente è tutto pronto, ci vestiamo e raggiungiamo la vicinissima stazione, in mezz'ora siamo in aeroporto. 
Controlli di rito, check in bagagli, un ultimo acquisto di rito, il regalo alla mia compagna di viaggio... e di vita.
Finalmente si atterra a Napoli, quale città migliore per riaccoglierti al rientro? 

Una volta preso il nostro mezzo meccanico, ci tuffiamo nelle strade a noi note e care della capitale del sud Italia. Sosta obbligatoria per una buona pizza margherita, un caffè espresso e una sfogliatella. 
Bentornati a casa. 

PS: Sposate un uomo che vi guardi come Fab guarda la pizza margherita dopo un viaggio all'estero. 









Commenti

  1. Bel reportage di viaggio, ma l'espressione più bella è senz'altro quella su Napoli.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Portare dentro quei sorrisi, le parole, gli sguardi, i visi ... Arrivederci Cuba!

Sincretismo e trasporti

Ciao Povery